
Contratto di associazione in partecipazione e appropriazione indebita
L'appropriazione indebita nel contesto dell'associazione in partecipazione
Sei mai stato coinvolto in un contratto di associazione in partecipazione o hai sentito parlare di problematiche legate all'appropriazione indebita? Questo articolo affronta un caso giuridico interessante che riguarda proprio questi concetti. L'obiettivo è chiarire alcuni aspetti legali legati all'appropriazione indebita, esplorando il rapporto con i contratti di associazione in partecipazione, un tema che potrebbe sembrare complesso ma che merita una riflessione approfondita. Andremo ad analizzare, infatti, come la legge considera il comportamento delle parti coinvolte in tali contratti, e se ci sono effettivamente implicazioni penali quando il denaro viene usato per scopi diversi da quelli previsti.
Indice dei contenuti:
- Il caso
- Il contratto di associazione in partecipazione
- Assenza del requisito di altruità
- Riflessioni sulla sentenza dell Corte d'appello di Trieste
- Conclusione
1. Il Caso
Un soggetto privato stipulava con una Società un contratto di associazione in partecipazione per un singolo affare. Successivamente, a causa di divergenze tra le parti, il soggetto che aveva versato il capitale per l’affare denunciava l'amministratore della Società per appropriazione indebita. Secondo la sua accusa, il denaro conferito sarebbe stato impiegato in operazioni differenti da quelle stabilite nel contratto.
Questo caso riveste un particolare interesse giuridico poiché permette di esaminare la rilevanza penale dell'inadempimento nel contratto di associazione in partecipazione. La questione centrale riguarda la natura delle conseguenze penali, se esistenti, qualora la società avesse effettivamente utilizzato il denaro per scopi diversi da quelli concordati.
Il reato di appropriazione indebita, come disciplinato dall'articolo 646 del Codice Penale, stabilisce che "Chiunque per procurare a sé o ad altri un ingiusto profitto, si appropria di denaro o di cosa mobile altrui di cui abbia, a qualsiasi titolo, il possesso, è punito, a querela della persona offesa, con la reclusione da due a cinque anni e con una multa da 1.000 a 3.000 euro".
Perché si configuri il reato di appropriazione indebita, è necessario che il soggetto agisca su beni di proprietà altrui e con l'intento di procurare un ingiusto profitto.
2. Il Contratto di Associazione in Partecipazione
L'associazione in partecipazione è regolata dagli articoli 2549 e seguenti del Codice Civile. Con tale contratto, l'associante concede all'associato una quota sugli utili derivanti dalla propria attività o da uno specifico affare, in cambio di un determinato apporto patrimoniale.
Come evidenziato dalla dottrina, il contratto di associazione in partecipazione non crea una nuova entità giuridica, come una società tra associato e associante, e non implica la formazione di un patrimonio separato. L'affare o l'impresa restano di esclusiva competenza dell'associante (art. 2552 c.c.), il quale detiene sia gli utili sia le perdite derivanti dall'attività.
L'associato, quindi, non ha una partecipazione diretta e immediata alla gestione, ma solo un diritto sugli utili, sebbene non sia obbligato a garantire che l'apporto venga utilizzato esclusivamente per l'affare stabilito nel contratto.
Pertanto, l'apporto patrimoniale entra nel patrimonio dell'associante, che ne diventa pieno proprietario e può disporne come meglio crede, salvo l'obbligo di corrispondere la parte di utili stabilita. Non esiste, di conseguenza, un obbligo di legge che vincoli l'associante all'impiego del denaro esclusivamente per l'affare previsto nel contratto.
3. Assenza del Requisito di Altruità
Nel caso in esame, il requisito dell’altruità della "res", necessario per la configurazione del reato di appropriazione indebita (art. 646 c.p.), manca del tutto. Infatti, una volta che l'associato conferisce il denaro, questo diventa parte del patrimonio dell'associante, che ne diviene proprietario.
Questa interpretazione trova conferma nella giurisprudenza della Corte di Cassazione, che ha affermato: "Il delitto di appropriazione indebita è escluso quando il possesso della cosa è accompagnato dal trasferimento della proprietà. Se l'acquisto del possesso comporta il trasferimento della proprietà, il reato di appropriazione indebita non è configurabile, anche se il soggetto ha l’obbligo di fare un uso determinato della cosa ricevuta" (Cass. Pen. n. 27540/2009). In quella fattispecie, la Corte ritenne che, anche se i fondi donati vennero utilizzati in modo non conforme alla destinazione originaria, non sussisteva appropriazione indebita, poiché il denaro non era più di proprietà dei donatori.
4. Riflessioni sulla Sentenza della Corte d'Appello di Trieste
Nel caso specifico, la Corte d’Appello di Trieste ha ribadito questo principio, sottolineando che, a seguito della stipula di un contratto di associazione in partecipazione, il denaro conferito dall’associato entra a far parte del patrimonio dell’associante. In tal modo, il reato di appropriazione indebita previsto dall'art. 646 c.p. non è configurabile, poiché manca il presupposto fondamentale: il possesso di beni appartenenti a terzi. La Corte ha ritenuto che, in questo caso, non sussistesse alcuna condotta penalmente rilevante, dato che il denaro conferito era entrato definitivamente nel patrimonio dell'associante (Sentenza della Corte d'Appello di Trieste, 18 gennaio 2022).
5. Conclusione
In conclusione, il caso analizzato dimostra che nel contesto di un contratto di associazione in partecipazione, l'appropriazione indebita non sia configurabile, poiché il denaro conferito dall'associato diventa parte integrante del patrimonio dell'associante. Questo approfondimento evidenzia l'importanza di comprendere bene la natura di tali contratti e le implicazioni legali che potrebbero sorgere in caso di controversie.
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