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APPROFONDIMENTI

Contratto di associazione in partecipazione e appropriazione indebita

L'appropriazione indebita in un caso particolare

Il Caso

Tizio concludeva con la società Alpha un contratto di associazione in partecipazione per un singolo affare. Successivamente alla stipula sorgevano contrasti tra le parti per cui Tizio querelava l’amministratore della società Alpha per appropriazione indebita in quanto, da tesi accusatoria, l’apporto in denaro sarebbe stato impiegato per operazioni diverse rispetto a quanto previsto nel contratto.

Questo caso risulta giuridicamente interessante in quanto viene analizzata la rilevanza penale dell’inadempimento nel contratto di associazione in partecipazione. Ci si chiede, infatti, se anche corrispondesse al vero che la società Alpha avesse impiegato il denaro ricevuto per scopi diversi rispetto a quanto previsto nel contratto, avrebbe il suddetto comportamento conseguenze penali o esclusivamente civili?

Il reato di appropriazione indebita ai sensi dell’art 646 c.p. prevede che “Chiunque per procurare a sé o ad altri un ingiusto profitto, si appropria il denaro o la cosa mobile altrui di cui abbia, a qualsiasi titolo, il possesso, è punito, a querela della persona offesa, con la reclusione da due a cinque anni e con la multa da euro 1.000 a euro 3.000”.

Fondamentale, pertanto, per la sussistenza della fattispecie è l’altruità della cosa di cui il soggetto agente deve avere il possesso e il fine di procurare un ingiusto profitto.

Il codice civile regolamenta l’associazione in partecipazione all’art. 2549 c.c. e seguenti “Con il contratto di associazione in partecipazione l'associante attribuisce all'associato una partecipazione agli utili della sua impresa o di uno o più affari verso il corrispettivo di un determinato apporto”.

Come ha evidenziato attenta Dottrina il contratto di associazione in partecipazione non determina la formazione di un soggetto nuovo (una società tra associato ed associante), non determina la costituzione di un patrimonio autonomo e non determina la comunanza dell'affare o dell'impresa, i quali restano di esclusiva pertinenza dell'associante (art. 2552 cc): ne deriva che soltanto l'associante fa propri gli utili e subisce le perdite, senza alcuna partecipazione diretta ed immediata dell'associato.

Ne consegue che l’apporto patrimoniale entri a tutti gli effetti nel patrimonio dell’associante, il quale ne beneficerà sotto ogni aspetto, avendo soltanto l’obbligo del pagamento della quota di utili; non vi è, pertanto, un obbligo di legge affinché l'associante impieghi l'apporto esclusivamente nell’affare considerato (L’associazione in partecipazione – Commentario Civile - Mignone G., anno 2008 Giuffrè, pag. 112 -115 )

Da quanto sopra esposto si evince che nel caso del contratto di associazione manca del tutto il requisito dell’altruità della res – richiesto per la sussistenza del reato di cui all’art. 646 c.p. - in quanto l’apporto entra a tutti gli effetti nel patrimonio della società associante che ne diviene proprietaria.

Tale assunto trova conferma nella giurisprudenza della Suprema Corte di Cassazione, la quale ha avuto modo di esporre il seguente principio di diritto, applicabile anche al caso di specie “Il delitto di appropriazione indebita è, quindi, senz'altro da escludere allorché il titolo del possesso è tale da trasferire nel possessore la proprietà della cosa. Quando l'acquisto del possesso è accompagnato dal trasferimento della proprietà, il delitto di appropriazione indebita non è infatti possibile, neppure se il soggetto abbia obbligo di fare un uso determinato della cosa ricevuta, o di una sua parte” (fattispecie relativa a una somma versata da benefattori su un conto bancario intestato ad un’associazione per la cura di un malato; la Corte ha ritenuto che il denaro – anche se in parte utilizzato per scopi diversi da quello della donazione - non fosse più di proprietà né dei donatori né del malato, nei cui confronti l’associazione rispondeva solo a titolo obbligatorio) - Cass. Pen. n°27540/2009.

Recentemente la Corte d’appello di Trieste ha avuto modo di esprimersi proprio sul caso qui analizzato, evidenziando come “il contratto di associazione in partecipazione comporta effettivamente il passaggio del denaro conferito dall’associato al patrimonio dell’associante. Di conseguenza del reato di cui all’articolo 646 difetta il presupposto, consistente nel possesso di cose altrui in quanto all’esito della stipula del contratto di associazione in partecipazione l’associante diviene proprietario a tutti gli effetti dell’apporto dell’associato”. Non vi era pertanto, nel caso di specie, una condotta penalmente rilevante poiché la somma di denaro conferita era entrata nel patrimonio dell’associante e non poteva essere oggetto di possesso e conseguente inversione dello stesso. (Sentenza Corte d'appello di Trieste 18 gennaio 2022).

 

foto di geralt su Pixabay

 

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